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lunedì 11 gennaio 2016

Experimental in Italy


Dear friends and listeners....another interesting project from Italy
the music was totally improvised and was recorded with a zoom recorder by paulo chagas on october 13, 2014 at Silvia’s home in monserrato (italy). Out the 11 /12/2015 for Pan y Rosas Discos
mixing and mastering by adriano orrù. Cover photo by silvia corda.....QUI  enjoy, zero

palimpsest trio:

paulo chagas – sopranino clarinet, alto saxophone, objects
silvia corda – piano, objects
adriano orrù – double-bass, objects

sabato 11 aprile 2015

avantgarde


Cari amici ed ascoltatori....Rob Mazurek (Jersey City 1965) è tra le figure chiave della musica contemporanea americana. Protagonista della scena musicale di Chicago, Mazurek è solista di cornetta, tromba, compositore ed artista multimediale. Ha suonato in diversi gruppi come Gastr Del Sol, Tortoise, Isotope 217 e in tutte le formazioni del Chicago Underground. E’ leader della Exploding Star Orchestra, formazione di punta della scena odierna, che spesso ha ospitato musicisti quali Bill Dixon e Roscoe Mitchell. Oggi assagiamo questo avangarde jazz/free americano propostoci insieme alla sua band (una quindicina di elementi...), disco  d'esordio per la Exploding Star orchestra uscito nel 2010 per la Delmark Rec......enjoy, per appasionati QUI..., zero

giovedì 19 marzo 2015

Double post

Cari amici ed ascoltatori.... Dopo appena un anno dalle deflagrazioni kraut rock, che si fanno free jazz e scarnificano il soul ridandogli nuova linfa, di Exit!, torna l'orchestra delle meraviglie di Mats Gustaffson, Johan Berthling e Andreas Werliin,con questo Enter!
Già dalla copertina -un occhio spalancato- si intravede, quasi come una premonizione, ciò che stiamo per accingerci ad ascoltare: un'analisi spietata, chirurgica, imparziale, oggettiva, da Kinoglaz, sul vernacolo jazz, carnalità soul, tribalismi, impennate free-form, vocalese, il tutto condensato, rimestato e sputato fuori in maniera quasi matematica; oppure il terzo occhio, la parte esoterica del se', dell'ancestrale, del pagano che si lacera le carni per ricongiungersi al divino, quasi come un battesimo del fuoco, in attesa dell'oracolo?
Tutte e due le cose o il loro contrario, se preferite; sì, perché mai come ora il concetto di musica globale, di sintesi tra colto e non colto, tra carnale e spirituale in questa mirabolante orchestra di folli visionari trova il suo approdo, declinando il verbo jazz come solo i grandi maestri sanno fare, risvegliandolo dal torpore, restituendogli quella caratteristica primigenia, che gli era appartenuta da sempre:  il popolare, il folklorico, il bandistico, ricollocandolo in una prospettiva trasversale, multiculturale, di linguaggi, all'apparenza distanti, che si fondono e coesistono in maniera miracolosa.
Ecco a voi allora una suite, che risponde al nome di Enter, suddivisa in quattro movimenti, ovvero otto, forse sedici  (il tentativo di dissezionare la materia musicale a volte è esercizio didascalico, farraginoso, talvolta fallace, ma tant'è) micro schegge impazzite di soul, noise, free-form e jazz in un andamento ferino, felpato del basso, tastiere e batteria, degno della migliore tradizione jazz pregna d'Africa, dalle parti di Max Roach ed Abbey Lincoln ed i loro We Insist! e Straight Ahead, congiunti da innesti noise-free-form in odore di Pere Ubu o Red Kraiola che fungono da ponte tra la seconda e la terza parte, ovvero di nuovo Abbey Lincoln, che sfocia in una coda deflagrante à la Peter Brotzmann. E questo è solo il primo movimento della suite.......a voi l'ascolto dei due album per una comparativa....enjoy..zero
E N T E R !                             













E X I T !

sabato 7 marzo 2015

Jazz from Poland


Di Francesco Buffoli caporedattore  de " Storia della musica" :
Se parliamo di jazz, ho la presunzione di definirmi un appassionato vero. Esperto no, servono un'altra cultura e un'altra preparazione, anche in termini di teoria della musica, ma appassionato sì (spero di essermi meritato il titolo che di solito spetta a chi all'apparenza sa, ma nella sostanza non sa).
Ecco, da un appassionato beccatevi questa: uno fra i dischi jazz più incredibili, e anzi spaziali di tutti i tempi non arriva dagli Stati Uniti. Badate che stiamo parlando di un'opera somma, da catalogarsi dopo pochi ascolti fra le cose in grado di cambiarti la giornata, e anzi la vita intera: quindi, prima di mettevi a ridere, abbiate l'accortezza di dedicarmi due minuti.
Il disco in questione, quello che può rovesciarti l'esistenza, arriva dalla Polonia. E la mente che si nasconde dietro l'ambizioso progetto è un sommo compositore caro anche a Roman Polański, che ha beneficiato dalle sua creatività per diverse colonne sonore: parlo di Krysztof Komeda.
Arrivo al dunque: “Astigmatic” di Krzysztof Komeda, genio delle sette note scomparso prematuramente nel 1969 (a 38 anni non ancora compiuti), è un disco in grado di rovesciarti addosso all'anima un'energia inusitata, degna delle primissime performance di tutta la storia del jazz (siamo delle parti del Mingus e del Coltrane migliori, per intenderci). Di più, “Astigmatic” è un disco che rompe la tua anima in due pezzi, e poi la calpesta finché non restano solo macerie e brandelli sparsi: il classico disco da mettere in loop a tutti coloro che ritengono il jazz una musica tecnicamente interessante, ma poco emozionante (ah ah).
Al di là delle peculiarità formali, su cui avrò dà modo di intrattenermi a breve, il capolavoro del polacco è un'opera straordinaria perché dotata, prima di ogni altra cosa, di un senso del drammatico senza precedenti.
E' uno di quei rari casi in cui ogni nota, ogni fuga, ogni slancio che sfuma in un momento di calma incandescente diventa potente metafora dell'esistenza. “Astigmatic”, per dirla con qualche critico serio, è un disco importante, ma non esigente: anche se non si è particolarmente affini al genere, verrà abbastanza naturale entrare in sintonia con le complesse (ma naturali) sfumature emotive del suo impasto sonoro. Verrà naturale innamorarsi, in sostanza.
La storia di Komeda merita qualche cenno: Kryzstof, in realtà, di cognome fa Trzicinski, ma dato che il regime sovietico non vede di buon occhio le musiche libertine che arrivano da oltreoceano, è costretto a scegliersi un nome d'arte che possa mascherarne l'identità.
Non è il solo: la dittatura polacca mette al bando il jazz, ed è allora curioso notare come la musica che in America serve per rampognare le storture e le costruzioni di un razzismo ancora vivo e vegeto, nell'Europa dell'est sia invece una radicale forma di resistenza culturale opposta a un regime di segno completamente diverso.
Komeda, che suona il piano, si forma nelle jam sessions clandestine della Polonia “indie” e, passo dopo passo, mostrando una velocità prodigiosa anche in termini di pensiero musicale, diventa un gigante della musica.
A metà anni '60 Kryzstof assembla un quintetto eccezionale: al sax alto scova il talento immaginifico di Zbigniew Namysłowski, al tempo venticinquenne o giù di lì; alla tromba un altro fuoriclasse destinato a scrivere pagine memorabili su tutti i fronti, Tomasz Stańko, ancor più giovane e se possibie ancor più talentuoso. Il gruppo è una specie di dream team paneuropeo, in quanto allinea anche il batterista Rune Carlsson e il bassista tedesco Günter Lenz, il “vecchio” della banda, con i suoi ventisette anni.
Komeda è la mente e il regista (un po' il Kazimierz Deyna della situazione, per restare in Polonia, parlando però di calcio), e con la suite che regala il titolo all'album allestisce uno fra i brani più febbrili dell'intera storia del jazz, riultato tanto più impressionante se si pensa all'età verdissima dei protagonisti.
Dopo la melodia sfibrata e dal sapore balcanico della tromba, prende corpo un crescendo "modale" di proporzioni ancestrali: la batteria pulsa nervosa e a tratti rockeggiante; il piano, con le sue prolungate linee di fuga (sempre fedeli agli schemi modali), è irrequieto e si cala nel ruolo di vero e proprio direttore d'orchestra, incaricato di guidare il gruppo anche in termini di coesione emotiva; la tromba, invece, assume il compito di disegnare trame cariche di colori aspri, perse dentro un'angoscia esistenziale cristallina, celeste.
La performance di Stańko è fra le pagine più terribili e poetiche della storia dello strumento: Tomasz cava dall'ottone una vocalità dolce ma dilaniata, a metà strada fra il Miles Davis più inquieto e il Don Cherry più lunatico e turbolento.
A marcare la differenza, qui, è però anche il tono delle melodie, radicato nella tradizione della musica dell'Europa orientale, il che permette di qualificare “Astigmatic” come capostipite dei capolavori che segnano la strada europea alla musica afroamericana. Il sassofono contralto segue con un'intereptazione altrettanto implorante, e forse ancor più contorta, capace quasi di tradurre in chiave lirica mitteleuropea il folle rumorismo di Ayler e di Coltrane. Il finale è da brivido: raccoglie il meglio di tutti i protagonisti in un crescendo parossistico e pulsante.
I sette minuti di “Kattorna” non valgono di meno: il geniale tema introduttivo, esposto dai due fiati all'unisono, si apre rapidamente in un'improvvisazione dal sapore post-bop, in cui il melodismo rimane un distillato di efficacia comunicativa. La musica si apre in campate ariose che consentono alle due voci di allestire un dialogo fitto e commovente, diretto e confessionale sino all'inverosimile: sembra quasi di vedere gli strani meccanismi neuronali dei vari musicisti tradursi in una successione ragionata di note.
I sedici minuti di “Svantetic” meriterebbero una descrizione decisamente approfondita, perché il loro tema in calando, percorso da solenni pause “angolari” (quasi Monkiane) e da frizioni interne sottili, è pathos insostenibile, o se vogliamo un altro pezzo di storia.
Evito però di dilungarmi oltre e mi limito a un sollecito: nobilitate un'oretta della vostra giornata con il genio polacco, se pensate che la musica sia un'esperienza, una questione centrale dell'esistenza.

Riped from youtube unsplitted VBR file   QUI

sabato 14 maggio 2011

i giapponesi che tipi...

Dear Friends and listeners....."Unbeltipo" comes from the remains of the fantastic defunct band Tipographica, who were a band that existed from 1986 to 1998 and played experimental jazz-rock with strong inspiration from Frank Zappa and his sometimes strange twisted ,but always amazing music.

The man behind Unbeltipo is the Japanese guitarist Tsuneo Imahori who composes, produces and arranges all of the bands music. Unbeltipo mainly plays in the trio format with guitar, bass and drums. On the first release Imahori played with various different musicians, but on the last four he has created a main core version of the band with himself on guitars, Mitsuru Nasuno on bass and Yasuo Sano on drums....enjoy ........zero
LINK IN COMMENTS

domenica 20 marzo 2011

FuturaMENTE

Cari amici ed ascoltatori....
vorrei oggi tentare di arrampicarmi in uno spericolato paragone fra cio' che fu il pensiero del movimento futurista italiano, che non fu solo Marinetti ed il jazz moderno, dove per moderno intendo quel magma di idee e progetti musicale a cui il buon Miles Davis diede il "la"....che poi si voglia chiamarla Fusion o con qualsiasi altra etichetta, poco importa.....è indubbio che se esiste un solo form musicale che è stato in grado di confrontarsi, conglobare altre forme ed espressioni in un continuo muoversi alla ricerca di nuove sonorità o idee questo è proprio il jazz....da sempre linea di frontiera.....opera di rottura come d'altro canto fu l'idea guida del movimento futurista che cerco' di coniugare l'arte del divenire del trasformarsi del movimento continuo, contaminando la lingua, l'arte, la musica del tempo "mixandola" con aspetti della realta' anche in antitesi fra loro.....gli avvenimenti futuristi in cui si tentva di miscelare la cucina con il rumore dei motori con la poesia, che da un certo punto di vista potrebbero rappresentare una schizzofrenia artistico-filosofica fine a se stessa, non erano che dei tentativi....degli esperimenti....come d'altro canto questo dischetto, che vado a proporvi è uno strano esperimento sonoro di miscelazione taggabile come future jazz o nuove sonorità.....un po' di hip-hop una spruzzatina di lounge music, l’immancabile dj set, schegge di rap, un ensemble di archi, profumi soul, e lo spirito del vocalese che aleggia su una manciata di classici dell’american music. Un cocktail malriuscito di un barman sprovveduto o ambizioso?
Non proprio se il soggetto in questione risponde a quel ragazzaccio di Bill Laswell e se per l’occasione convoca attorno a sé una ciurma di navigati bucanieri dell’improvvisazione come Karl Berger, Nicky Skopelitis, Brandon Ross, e Amina Claudine Myers.
E come in tutte le produzioni di Laswell quello che conta non è tanto l’esibizione tecnica dei musicisti, il loro interplay, l’elaborazione e l’improvvisazione sul tema, quanto un’idea di musica che va oltre i generi, un concetto di suono che trascende canoni estetici consolidati, una brezza insinuante che sconvolge qualsivoglia certezza stilistica.
Diverse le chicche di questa incisione, come la splendida versione di “Angel Eyes“ con la voce profonda di Amina Claude Myers che mette i brividi, la chase tra il vocalese style e il rap nella classica “Twisted“, l’Ellington che non ti aspetti in “Cottontail“, e l’iniziale “Little Boy Don't Get Scared“ dal groove ipnotico e dagli stranianti esiti contrappuntistici dei Material Strings diretti da Karl Berger.
Se il progetto di Bill Laswell non sconvolgerà più di tanto un pubblico ormai avvezzo ad ogni tipo di operazione musicale, il suo Little Boy Don’t Get Scared rimane un felicissimo esempio di contaminazione tra generi, un intelligente, fresco e originale omaggio al vocalese, genere troppo spesso dimenticato o considerato di serie B.
Download H E R E and enjoy....zero

domenica 15 marzo 2009

Chi si ri sente

Cari amici ed ascoltatori......

il vecchio guru dell'era rock progressive, è sempre sulla scena.....qua in un progetto sicuramente piu' jazz che rock....ma io l'ho sempre amato...per le sue trasversalita' sia sonore che di scelte di vita......per cui godetevi questo "Eat me baby I'm a jelly bean" del mitico Daevid Allen....HERE ...zero

lunedì 12 gennaio 2009

ZU

Cari amici ed ascoltatori......
Con "Carboniferous", nuovo album degli Zu in uscita a febbraio, la band romana si siede in maniera permanente al tavolo dei gruppi estremi contemporanei, forti anche dell'appoggio della loro nuova etichetta, la Ipecac dell'ex Faith No More/Mr. Bungle Mike Patton.
Arduo ormai rintracciare nella loro musica uno stile predefinito, tutti gli elementi che sin qui ne hanno caratterizzato la peculiarità vengono polverizzati: un assalto all'arma bianca in cui è possibile scorgere sì brandelli di musica industriale, metal evoluto e jazz libero, ma anche una personalità ed un carattere senza pari.
Il disco vede la partecipazione dello stesso Mike Patton in due brani, mentre King Buzzo dei Melvins suona la chitarra in un brano registrato in session con gli Zu a Los Angeles.

Disco solo per estimatori.....HERE....zero