Il Centurione scrive:
Nella mia ricerca per la “nostra” rubrica delle Ciofeche Contest (oppure, se preferite, con un termine internazionale più elegante: unlistened music) non trovando un’opera recente ho optato per quelle che conosco meglio: cioè quelle editate negl’anni ’70. Qui la scelta di come iniziare è stata ardua…Dopo lunga meditazione (e orecchie che gridano vendetta) ecco che inizio la mia collaborazione con un disco di Franco Battiato (per altro fra i miei autori italiani preferiti) che a cavallo fra il ’75 e il ’78 fece uscire ben 3 terribili album che probabilmente li riuscì a vendere solo ai suoi parenti più stretti (e che ancora lo maledicono per questo) tanto che poi alla fame si dette a un genere molto più commerciale con L’era del cinghiale bianco del 1979. Fra i tre la mia scelta è caduta su Battiato del 1977 il cui lp presenta sul lato A un unico brano (di ben 20 minuti) intitolato Za in cui suona (si fa per dire) un’unica nota al piano. Leggermente meglio il pezzo (19 minuti) del lato B ma sempre da suicidio… QUI
Francesco Mendozzi da "storia della Musica"
Nel primo album per la Ricordi il concettualismo di Battiato si fa rigorosissimo e autorevole. È composto da due soli pezzi: sul lato A troviamo “Zâ”, un componimento per pianoforte di venti minuti che Franco Battiato commenterà così: «Apparentemente povero. Quasi completamente formato da un accordo. Volutamente percussivo (non vi viene mai usato il pedale di destra), divide e sottrae risonanze, con una tecnica di rilascio. Ha bisogno di un ascolto che definirei meta-analitico, a favore di una non-spazialità atemporale». Sul lato B c’è “Cafè-table-musik”, di circa diciannove minuti: «Questo pezzo della regressione europea è una specie di collage orfico; pieno di sostituzioni, manipolazioni, citazioni false, o meglio: copie originali. La scala di pianoforte diventa melodia, l’esercizio di voce sentimento».
“Zâ” è composto quasi interamente da un solo accordo – con poche variazioni – che si ripete a ritmi differenti durante il brano, ognuno con una certa regolarità. La traccia è suddivisibile in alcune parti a seconda dell’accordo utilizzato, che varia leggermente. Questo componimento si dimostra essere un austero esempio di minimalismo (che nel mondo era stato sviluppato da Steve Reich e Terry Riley); l’addizione dei suoni operata dal pianista Antonio Ballista è precisa ed ordinata e mette l’ascoltare alla prova: sta infatti a lui capire variazioni, accenti e dettagli tecnici.
È possibile far risalire “Zâ” ai grandiosi “Momente” (1962-69) di Karlheinz Stockhausen dove il fulcro ruotava attorno alla forma-momento, ovvero all’amalgama di velocità, timbro, pitch ecc. in grado di rendere l’avvenimento dell’attimo, dell’istante. Anche nel componimento battiatiano non si glissa sul tema delle interazioni dinamiche genitrici del momento stesso, e non si elude il problema circa le reminiscenze che un momento genera in quello successivo. Nell’opera di Stockhausen e in quella di Battiato, infatti, ogni frammento porta in sé ricordi di quello precedente, e così via fino alla fine. Si vengono quindi a sovrapporre i concetti analogici di cambiamento e rinnovamento, tanto che le possibilità intraviste in “Zâ” sono infinite, cosicché quest’opera risulta solo come una probabilità incidentale.
“Cafè-table-musik” offre invece altri spunti di riflessione intellettuale e artistica. Innanzitutto gli scherzosi coffee table books di Marcel Proust; poi i nonluoghi di Marc Augé, teorizzati nel 1992; infine i tableau piège di Daniel Spoerri, creati a partire dal 1960: oggetti trovati casualmente in situazioni di disordine o di ordine vengono fissati al loro supporto esattamente nella posizione in cui si trovano, a cambiare è la loro posizione rispetto all’osservatore. In quest’ambientazione di musica-colore regna sovrana la decontestualizzazione duchampiana, rintracciabile ad esempio nell’esclamazione: «…Aranciate, panini, birra…» che, tolta dal suo contesto d’uso ed immersa nel discorso lirico, perde, in base a una non consequenzialità logica, il suo senso vecchio «per passare dall’emisfero semantico a quello musicale più semantico: libertà dal conosciuto per il conosciuto».
La convincente voce della soprano Alide Maria Salvetta, che ritroveremo anche nel disco successivo, e i suoni prodotti in studio dal compianto Claudio Rocchi, generano una perfetta astrazione dalla realtà dei singoli momenti sonori. Come afferma l’autore stesso: «[In “Cafè-table-musik”] vi è una realtà rappresentata presso un teatro immaginario». Seppur permeato da un fervido concettualismo, Battiato non si sottrae comunque al neoclassicismo, con melodie meravigliose ed enigmatiche negli spezzoni pianistici di Ballista, toccanti e suggestive quando si spostano sulle corde vocali della Salvetta.
“Battiato” del ‘77 è questo: un disco amusicale, un dipinto adescrittivo, un’installazione disinstallata, un film in bianco e bianco muto. Questo disco è come una galleria d’arte stracolma di visitatori ma con le pareti spoglie, dove ognuno è costretto a guardare l’altro e questa stessa indagine tra esseri umani diventa l’oggetto artistico.
3 commenti:
Anch'io ho varie torture nel cassetto, questa è di certo fra le migliori...:-(
Conosco forse tre di Battiato e mi hanno piaciuto e debbo dire che questa copertina è molto molto interessante; grazie per l'oportunità di conoscere un altro.
Figurati....se vuoi partecipareal"ciofeca contest" sei benvenuto....ciao zero
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